Il tram (prima parte)

Il tram si muoveva lento nella stretta corsia centrale mentre alla sua destra superava una lunga coda pressoché immobile di auto. Ogni tanto la coda si muoveva, a volte per lo scorrere del traffico, a volte semplicemente perché un’auto liberava spazio invadendo la corsia preferenziale per superare la coda e svoltare a sinistra al primo incrocio disponibile. Il marciapiede era un frettoloso brulichio di decine di persone, alcune sparivano scendendo nel vicino ingresso della metropolitana, altre emergevano proprio da quell’ingresso dirigendosi nella direzione opposta, alcune si affrettavano a raggiungere la fermata del tram, altre ancora semplicemente camminavano verso chissà quale destinazione.
Lorenzo si era appena seduto all’inizio del secondo vagone del tram, era vestito con una polo ed un paio di jeans neri, una delle sue combinazioni preferite, la sua postura era composta e sulle ginocchia aveva l’elegante borsa di pelle che usava per il lavoro. Alla sua sinistra sedeva Rita, una delle sue più care amiche, i capelli ricci avvolgevano il viso sorridente mentre con le mani aggiustava il suo vestito chiaro ravvivato da un colorato motivo floreale. Alla sua destra c’era uno degli enormi finestrini che agiva da schermo sulla frenesia che c’era oltre: stavano passando in uno dei corsi più trafficati di Milano e l’orologio segnava le 19,15 cioè piena ora di punta.

“Hai mai visto qualcuno piangere su un tram?” chiese all’improvviso Lorenzo girandosi verso la sua amica.
“No, non mi è mai successo, ma immagino sia una situazione spiacevole, non saprei cosa fare… ma perché me lo chiedi?” rispose Rita.
“Te lo dico io com’è, è molto più che spiacevole. Buona parte delle persone non se ne accorgono nemmeno o guardano disinteressate, anche perché poche persone sono sensibili come te. Altri invece ti notano e cominciano a fissarti con una strana curiosità, come se fosse di fondamentale importanza scoprire il perché delle tue lacrime, come se la tua tristezza potesse rendere migliori le loro vite. Il vero problema però sono quei pochi che invece ti notano e ti guardano come se fossi un appestato…”
“Aspetta, un appestato? In che senso?” lo interruppe Rita stupita.
“Nel senso che stai esternando tristezza e la tristezza si sa è contagiosa. Per loro stai portando e diffondendo un’infezione in un luogo pubblico, dovresti essere fermato al più presto.” spiegò Lorenzo.
“Dai Lorenzo, non esagerare…”
“Ma è vero! È vero che la tristezza è contagiosa, così come l’allegria ovviamente. Ed è vero che molta gente la evita come se fosse il male assoluto.”
“Beh, sicuro non puoi definirla un bene.” rispose Rita.
“Certo, ma è qualcosa che fa parte delle nostre vite, qualcosa che non puoi evitare semplicemente perché hai voglia di evitarla.”
Lorenzo si fermò un istante, lasciò che il tram superasse la curva e che quel fastidioso stridio delle ruote sui binari cessasse e poi, mentre all’esterno scorrevano i negozi del corso di Porta Ticinese, aggiunse: “E inoltre senza tristezza non esisterebbe la felicità.”
“Vero… Comunque la domanda più importante resta: perché dovresti piangere su un tram?” chiese Rita.
“Perché ci sono un mucchio di motivi, non è una cosa che pianifichi o prevedi, semplicemente succede. Magari hai ricevuto una brutta notizia al telefono pochi minuti prima, oppure stai attraversando un periodo terribile ma ti tocca comunque andare al lavoro con il tram. Oppure ancora è successo qualcosa di particolarmente brutto negli ultimi giorni e sei ancora scosso, di motivi ce ne sono a decine. Mi sono sempre chiesto perché, in pubblico, sia possibile dimostrare allegria ridendo ma sia un tabù esprimere tristezza piangendo. Forse proprio per via del fatto che le persone non vogliono essere contagiate con la tua tristezza.”
“Senti ma, indipendentemente da questo discorso, tu come stai? Mi sei sembrato un po’ giù stasera, o sbaglio?”
Se c’era una cosa che Lorenzo sapeva per certo era che Rita non sbagliava mai quando si trattava di interpretare il suo umore, così aspettò un attimo prima di rispondere.
“Io? Mah, come al solito, pensieri vari che passano per la testa, il nostro breve aperitivo comunque è stato carino e…”
“Nient’altro?” lo interruppe Rita.
“Mmm… No, nient’altro.” rispose Lorenzo.
All’avvicinarsi di una delle fermate il tram cominciò a rallentare, un gruppo di adolescenti si alzò per raggiungere le porte che dopo pochi secondi si aprirono e lasciarono scendere le risate e gli schiamazzi dei ragazzi.
Per un attimo ci fu il silenzio poi il tram ricominciò a muoversi accompagnato dal suo consueto rumore in sottofondo.
Rita si alzò stiracchiandosi le braccia e disse: “Ehi, la prossima fermata è già la mia! Sai che alla fine ho ancora fame? Credo che integrerò l’aperitivo preparandomi qualcosina a casa. Noi ci sentiamo domani, ok?”
“Certo, a domani! Buona serata e… non mangiare troppo!” rispose sorridendo Lorenzo.
Rita si avvicinò alla porta, premette il pulsante per prenotare la fermata e rimase in attesa bilanciandosi con il corpo per assecondare i movimenti del tram. Le porte si aprirono e lei scese agilmente gli scalini, fece qualche passo e poi si girò per rivolgere un cenno di saluto verso il suo amico che la stava già salutando con la mano.
Mentre il tram riprendeva la sua corsa, Lorenzo continuò a guardare oltre il finestrino seguendo con lo sguardo la sua amica che si allontanava sul marciapiede della stretta via laterale. Poi, quando lei uscì dalla sua visuale, rimase con lo sguardo fisso verso l’esterno mentre nella sua testa cominciarono a riemergere tutti i pensieri che stava affrontando in quei giorni. Lorenzo provò a lottare contro la tristezza di quei pensieri ma ogni suo sforzo fu vano così, dopo pochi istanti, si ritrovò improvvisamente a piangere.

Continua

Il gioco rotto

“Non è giusto Papà!!”, disse Lorenzo buttandosi sul divano, scuro in volto e con un principio di pianto che faticava a trattenere.
“Cosa non è giusto, Lorenzo?”, disse suo padre in piedi sulla soglia del soggiorno.
“Non è giusto che quel gioco si sia rotto… uffa!!!”
Purtroppo il giorno prima si era rotto il gioco ricevuto in regalo dai genitori a Natale e la cosa aveva deluso parecchio il piccolo Lorenzo.
“Ma te l’ho detto, quel gioco è difettoso. Lo abbiamo controllato assieme, ho provato a ripararlo ma non posso esagerare altrimenti rischiamo di invalidare la garanzia e il negoziante non ce lo cambierà più.”
“Ma non è giusto… non è giusto!” mugugnò il bambino sul divano cominciando a piangere.
Lorenzo non era solito fare capricci e quelle poche volte che succedeva non sfruttava il pianto come arma, anche perché aveva scoperto a sue spese che non faceva presa sui suoi giovani genitori. Inoltre erano mesi che non piangeva ma in quel momento non vedeva nessuna alternativa, aveva tutto il diritto di farlo per la perdita di quel giocattolo che tanto lo aveva fatto divertire negli scorsi giorni.
“Non è giusto che proprio il mio… sigh… tra migliaia di pezzi venduti, dovesse essere quello difettoso…” disse asciugandosi una lacrima che gli colava sulla guancia mentre continuava a fissare la scatola sul tavolo.
Suo papà allora prese una sedia, la avvicinò al divano, si sedette e disse: “E, sentiamo un po’, cosa sarebbe stato giusto allora, Lorenzo?”.
“Sarebbe stato giusto se l’unico gioco difettoso non fosse stato il mio, ora sarei in camera a giocare e a divertirmi e invece, per colpa di questa coincidenza, sono qui a disperarmi!” rispose di getto il bambino.
“Allora, innanzitutto non puoi essere sicuro del fatto che il tuo sia davvero l’unico gioco difettoso. Inoltre non vedo come possa essere giusta una cosa che semplicemente scarica su un’altra persona ciò che è successo a te, perché ovviamente sai che un altro bambino avrebbe ricevuto il gioco difettoso ed altrettanto ovviamente sai che ora lui sarebbe nella tua condizione…”
“E allora sarebbe stato giusto se tutto questo non fosse mai successo e se non mi avessi mai regalato quel gioco, piuttosto avrei preferito rimanere senza regalo, ora sarei in camera a giocare con qualche altro gioco, mi starei divertendo e non starei così… ecco… sigh… uffa!!” disse il bimbo stizzito, con le lacrime che ormai scorrevano abbondanti.
“Lorenzo, non sei più un bambino e sai che ormai ti considero abbastanza grande e intelligente per poter fare dei discorsi seri. Rifletti un attimo su ciò che hai detto, davvero credi che sarebbe stato meglio non aver ricevuto nulla in regalo? Davvero preferiresti non aver passato quei momenti divertenti e piacevoli che hai passato negli scorsi giorni?”
L’uomo fece poi una piccola pausa, passando nel frattempo al bimbo un fazzoletto con cui asciugarsi le lacrime, ma dopo pochi secondi incalzò: “E soprattutto non ti rendi conto che con quest’ultima frase hai trovato da solo la risposta a questo tuo momento triste?”
“Papà…ma che dici, non è vero!” disse il bambino con un misto tra stupore e disappunto.
“Hai appena detto che piuttosto avresti preferito divertirti con qualche altro tuo gioco… E non mi sembra che ora ci sia qualcosa che te lo possa impedire. Sai bene che appena il negozio concluderà il periodo di ferie andremo assieme a cambiarlo, potresti semplicemente pensare che grazie a quel gioco nuovo ti sei divertito negli scorsi giorni. Potresti accettare il fatto che ora è rotto, che quando ce lo cambieranno potrai continuare a giocarci e che, nel mentre, hai tante altre cose con cui puoi divertirti. Quindi invece di piangere e disperarti, perché non andiamo in camera tua a giocare a qualcos’altro?”
“Ma…”
“Ma cosa?”
“Niente papà, hai proprio ragione…” disse Lorenzo balzando in piedi. In un attimo raggiunse correndo la soglia della sala per poi fermarsi un secondo a gridare: “Allora papà, che ci fai ancora lì? Andiamo in camera mia a giocare!!”
 
Senza preavviso ed apparentemente senza motivo nella mente di Lorenzo era riaffiorata questa scena della sua infanzia e, nonostante fossero passati più di vent’anni, si era ritrovato catapultato nel passato in un flashback nitido e dettagliato.
Ora si trovava di nuovo nel presente e niente era cambiato rispetto a pochi istanti prima: era disteso sul divano, le braccia dietro la testa e lo sguardo vago verso il soffitto, in testa un ciclone di sentimenti e di pensieri contrastanti, una confusione enorme e una voglia immensa di capire come fare a scacciare il dolore mentre le giornate passavano senza che riuscisse a reagire. Erano giorni che non aveva voglia di uscire di casa, aveva evitato le uscite con gli amici ma sentiva quelli più stretti al telefono per confidarsi, mentre loro cercavano di aiutarlo. Ma niente stava funzionando, ogni cosa aveva lo stesso effetto di una paletta che sposta la sabbia in un secchiello: dopo poco tutto tornava nella stessa situazione iniziale.
Era da solo, senza quella persona che credeva di amare, quella persona che alcuni giorni prima lo aveva lasciato nel peggiore dei modi, ripudiando i mesi trascorsi assieme. Un colpo di spugna improvviso su una lavagna piena di frasi, di sentimenti, di ipotesi, di progetti, evidentemente scritte soltanto da una delle due persone.
Lorenzo continuò a fissare il soffitto cercando di svuotare la mente da tutti i pensieri ed i ricordi che aveva con lei. Non poteva fare a meno di pensare che era stato tutto così bello, fin dal primo momento. Certo, si rendeva conto che considerando ciò che era appena successo probabilmente era stata tutta un’illusione, ma per lui era stato qualcosa di reale, qualcosa in cui aveva creduto davvero.
Ed era questa la cosa che, in fondo, rendeva tutto così difficile.
Non era facile nemmeno resistere alla tentazione di piangere, Lorenzo aveva scoperto che le lacrime erano un buon modo per avere un sollievo temporaneo ma questa volta riuscì a contenerle più per inedia che per autocontrollo.
 
All’improvviso suonò il citofono e il giovane uomo fu costretto a scacciare per un attimo tutti i suoi pensieri e ad alzarsi, mentre si chiedeva chi potesse essere.
“Chi è?” chiese scocciato.
All’altro capo c’era Eugenio, il suo migliore amico, che dopo una breve esitazione rispose: “Lorenzo ciao! Sono io, come va? Passavo di qui per caso così ho pensato che potremmo andare a berci una birra al nostro solito pub!”.
Non era vero, Eugenio era passato di lì di proposito ma questo a Lorenzo non voleva dirlo.
“No, guarda… non me la sento proprio… è che in questi giorni, mah sai bene cosa sto affrontando…” rispose di getto Lorenzo, non senza una buona dose di stupore per la visita inaspettata.
Ma l’amico incalzò interrompendo la sua esitazione: “Dai su… non mi sembra che ora ci sia qualcosa che te lo possa impedire! Sei a casa a far nulla!”
Non mi sembra che ora ci sia qualcosa che te lo possa impedire…
“Ma io, ecco… non so.”
Seguì un lungo silenzio, Eugenio voleva continuare ad insistere ma non voleva esagerare, Lorenzo era totalmente indeciso sul da farsi.
“Però forse hai ragione… perchè no? Dammi 10 minuti che mi preparo e scendo!”.
 
Così Lorenzo uscì di casa ed andò al pub con il suo amico Eugenio.
Certo non cambiò improvvisamente tutto, non riuscì a dimenticare il dolore né ad accantonare completamente la tristezza e la serata fu a tratti cupa con numerosi riferimenti a ciò, o più precisamente a colei, che aveva causato tutto.
Ma ci fu qualcosa in più, qualcosa che sperimentò in prima persona e che non avrebbe potuto imparare in nessun altro modo: Lorenzo capì che in quel momento non poteva far altro che provare a convivere con quei sentimenti e ricominciare a vivere normalmente, proprio come gli aveva detto suo padre svariati anni prima.
Un vecchio insegnamento, un grande Amico e una frase detta d’istinto carica di significati: ecco quindi come Lorenzo cominciò a scrivere un nuovo capitolo del grande libro della sua vita.

Giornate diverse

E all’improvviso, senza che io ne abbia alcuna colpa, arriva quella giornata storta in cui ricomincio a vedere tutto decisamente nero.
Mi sveglio con un leggero mal di testa ed impreco contro questa trasferta, contro le sveglie all’alba e contro i voli (inclusi quelli cancellati), tutte cose che mi fanno accumulare sempre più stanchezza. Mi sento fiacco e per la testa mi passa l’ipotesi di rimanere a letto per tutta la mattinata: ovviamente non posso perché devo andare in ufficio così provo ad abbozzare una discussione tra me e la mia stramaledetta morale ma ne esco sconfitto, come sempre, quindi mi alzo dal letto.
Dopo un’ora di lenti preparativi esco svogliato dall’hotel e mi trovo in mezzo ad una fastidiosissima neve mista a pioggia. Il mio odio per l’ombrello è così profondo che decido di non aprirlo nonostante stia già sentendo filtrare delle gocce gelide tra i capelli. D’istinto guardo la direzione verso cui devo andare e noto che il bus che devo prendere sta passando proprio ora, motivo per cui dovrò attendere 10 minuti per la corsa successiva. Isolato dal mondo grazie agli auricolari mi metto in attesa alla fermata e cerco di far passare il tempo, così comincio a guardare le persone che passano: chissà cosa stanno pensando, chissà cosa stanno per fare, chissà se vedono tutto nero come me oggi.
Salgo sul bus e mi siedo vicino ad uno dei grossi finestrini, guardo fuori, osservo il tragitto, le macchine, le vie, le case. Poi il bus svolta nella piccola stradina che taglia l’Englischer Garten, osservo la neve che copre ogni centimetro e penso che in questo momento sarebbe così bello poter fare una passeggiata su quel manto bianco, nel silenzio e nella tranquillità. Magari buttarmi sulla neve e distendermi per guardare il cielo senza pensieri, cercando di trovare un po’ di tranquillità.
Arrivo a lavoro e la stanchezza mi attanaglia. Alla mia scrivania cerco di riprendermi mentre inizio a lavorare, di cose da fare ce ne sono molte e non voglio perdere tempo.
Ogni tanto guardo fuori, il cielo è grigio scuro ma sembra chiaro rispetto al nero che sento dentro di me.
Quando esco con i colleghi per la pausa pranzo sta ancora nevicando. Il pranzo è un’oasi rigenerante che scorre piacevolmente tra battute e aneddoti con i colleghi ed io cerco di sfruttarla più possibile tornando a sorridere.
Rientro alla mia scrivania e riprendo a lavorare, in contemporanea il mal di testa riprende a martellarmi e penso che cercherò di uscire presto per provare a riprendermi. Quando faticosamente arriva l’ora in cui avevo pensato di andare via sorgono dei nuovi problemi per cui devo rimanere ancora in ufficio. Esco tardi, non ho le forze di rimanere fuori a cena e rientro in hotel passando prima dalla mia panetteria preferita per prendermi la cena. Mangio in stanza mentre cerco di rilassarmi un po’, poi crollo a letto e la giornata svanisce così…

E all’improvviso, senza nessun preavviso, arriva quella giornata in cui tutto ciò non mi sembra poi così nero.
Mi sveglio stanco ma in fondo qui l’ufficio è vicino e riesco a prendermela con comodo, a volte ci scappano addirittura 5 minuti di relax dopo la doccia.
Appena pronto esco dall’hotel salutando con un sorriso le persone alla reception, attraverso la strada e mi fermo alla fermata del bus che dopo pochi istanti arriva per portarmi comodamente in ufficio. Dopo nemmeno un quarto d’ora sono già alla mia scrivania. Le cose su cui sto lavorando qui non sono tutte interessanti ma le sto comunque facendo bene, cosa che ora mi permette di essere finalmente un po’ più rilassato, ammirando i risultati e scorgendo la fine del tunnel dell’incertezza.
A metà mattina passano a chiamarmi dei colleghi per una pausa, due risate davanti ad un caffè e si comincia a pensare al pranzo e alla cena.
Arriva l’ora di pranzo e questa volta sono riuscito ad organizzare per andare tutti assieme, italiani e tedeschi: non sempre è possibile per via dei diversi orari (loro mangerebbero già alle 12) ma è una cosa che apprezzo particolarmente perché stare con loro è uno dei valori aggiunti di questa trasferta. Perché è bello parlare con persone diverse in una lingua diversa, scambiarsi opinioni, sentire un punto di vista diverso ma trovare quelle cose che ci accomunano perché, in fondo, non siamo affatto così diversi. Mi diverto finanche a provare ad insegnare loro qualcosina di italiano e rimango sorpreso quando vedo che in realtà qualcosina sanno già dire, mentre io arranco con quelle pochissime parole di tedesco che ricordo dal breve corso fatto al liceo. Anche se forse a stare qui lo sto assimilando per osmosi.
Rientro alla mia scrivania con il sorriso e ricomincio a lavorare. Dopo qualche ora alla mia postazione arriva il collega tedesco con cui condivido il lavoro e ci rendiamo conto che sta tutto funzionando senza problemi. Soddisfazione mista a un po’ di meritata tranquillità.
Così riesco ad uscire ad un orario decente, rimango a cena con dei colleghi e poi vado a letto con il sorriso.

Giornate diverse, diametralmente opposte, che ben rappresentano quanto è stato variabile il mio umore durante le giornate di questa trasferta a Monaco.
Resoconti che ho scritto a distanza di giorni, così diversi e così poco conciliabili che sembrano quasi provenire da due trasferte diverse.

Nel frattempo è arrivato venerdì 5 aprile, l’ultimo giorno.
E la mia testa non può fare a meno di cercare di stilare un bilancio.
Quale tipologia di giornata ricorderò pensando a questo periodo?
Ho fatto bene a venire qui?
È qui che sbaglio proprio… Ma perché voglio ridurre questa esperienza ad un più o ad un meno da scrivere sul mio taccuino mentale? Che senso ha, non posso sapere cosa mi sarebbe successo in Italia e gli alti e i bassi fanno parte di ogni periodo in qualsiasi parte del mondo.
Forse dovrei rendermi conto che ho semplicemente affrontato le conseguenze di una decisione, con i suoi pro e i suoi contro.
In altre parole qualcuno potrebbe farmi notare che ho semplicemente vissuto questi due mesi affrontando un’esperienza nuova.
E allora va bene pensare all’inferno delle prime tre settimane e alle energie spese, ma devo anche pensare che queste ultime tre settimane sono state piacevoli. E che aver cambiato un po’ aria potrebbe avermi reso un po’ meno refrattario al cambiamento (citazione da una riflessione con il mio Maestro di due mesi fa, del giorno prima dell’inizio della trasferta). E che mi sono sempre chiesto come sarebbe stato un periodo da solo all’estero ed è esattamente ciò che ho vissuto. E che Monaco è davvero una bella città e resta una delle mie preferite d’Europa (se riesco vorrei dedicarle un post). E che conoscere e parlare con gente nuova è stato piacevole. E che la cena che ho organizzato ieri per salutare i colleghi tedeschi è stata davvero divertente.
E che a quanto pare, a differenza di ciò che vorrebbe farmi credere la mia testa, di elementi positivi ce ne sono stati eccome. 🙂

Un abbraccio ai miei Amici, un saluto ai miei lettori ed un ringraziamento particolare al mio Maestro che con i suoi punti di vista riesce ad influenzarmi anche a distanza. 😉