Il rientro

15/2/2013

Sono le 15,30 e si sta concludendo la mia seconda settimana di trasferta, è quindi il momento del mio secondo rientro a casa. Sono seduto al tavolino di un bar dello splendido aeroporto di Monaco di Baviera con un nuovo collega molto simpatico, mangio un panino e un pretzel accompagnati da una buona birra mentre chiacchiero con lui di lavoro. O, più precisamente, “del lavoro”: gli argomenti della nostra conversazione non sono i problemi o i compiti gestiti in ufficio ma sono le conseguenze e i pensieri derivanti da questo lavoro e dalla nostra trasferta. Oltre a qualche preoccupazione, il problema è che a volte sembra che lo scopo sia solo sfruttarci il più possibile, indipendentemente dal costo, fisico e psicologico, che dobbiamo sostenere. Ed è una sensazione parecchio spiacevole.

Sono le 16,15, dopo il nostro pranzo il collega va a fare un giro per negozi, io invece decido di dirigermi verso quello che ho proclamato il mio angolo di aeroporto: un gruppo di tavolini con vista partenze poco distanti dall’ingresso del gate del mio volo del venerdì. Mi siedo, appoggio la valigetta ed il cappotto e cerco di rilassarmi un po’, la settimana lavorativa è finita e non mi resta che osservare gli aerei che partono e le persone che passano. Chissà dove vanno, chissà se stanno partendo o stanno tornando, se sono felici di farlo o se invece è un obbligo, se stanno proiettando i loro pensieri al luogo di arrivo oppure se lasceranno la loro testa qui.
Oltre le persone si vedono le piste dell’aeroporto, la neve che continua a cadere ed il cielo grigio, impenetrabile, che non mi lascia nessun indizio riguardo la posizione del sole in questo momento.

Sono le 16,30, noto due colleghi tedeschi che, qualche giorno prima, mi avevano parlato del loro weekend di vacanza a Milano dicendomi che sarebbero stati sul mio volo. Li saluto con un cenno e li faccio accomodare al mio tavolino, cominciamo a chiacchierare mentre chiedo cosa visiteranno e cerco di dar loro qualche indicazione.
È bello scambiare parole con persone che vivono in un’altra parte del mondo perché tramite un discorso, qualsiasi sia il tema, riescono a descrivermi, in parte, cosa passa per la loro testa. Culture diverse ma pensieri spesso uguali, soprattutto se si è alla soglia di un weekend, di vacanza per loro e di rientro per me.
In più mi rendo conto che poter aiutare dei turisti è una cosa che mi rende particolarmente felice, è una combinazione di due grandi parti di me, quella altruista e quella dal forte senso di ospitalità: della prima farei volentieri a meno visto come gira il mondo, della seconda invece non ho nulla da rimproverarmi ed anzi ne sono fiero.

Ore 16,50, comincia l’imbarco. Auguro ai colleghi tedeschi un buon weekend nella “mia” Milano e li saluto, passo il codice a barre della carta d’imbarco affianco al tornello che si apre per farmi accedere al lungo tunnel che mi porta sull’aereo. Saluto la hostess e mi metto in coda con le altre persone nello stretto corridoio. Arrivo al mio posto, ovviamente vicino al finestrino, mi siedo e appoggio la testa sul sedile, la stanchezza continua a farsi sentire e penso che potrei provare a riposarmi un po’ chiudendo gli occhi.
Le persone continuano a sedersi e la coda diventa sempre più corta, l’aereo si riempie e, dopo qualche minuto, non c’è più nessuno in piedi e nemmeno nessuno seduto di fianco a me. Sarò solo così alzo il bracciolo in mezzo ai due posti e mi sistemo per mettermi più comodo. Che fortuna, penso, il volo è pieno ed io posso stare un po’ più comodo.

Ore 17,40, l’aereo è ancora a terra pista per via delle operazioni di rimozione del ghiaccio dalle ali, io continuo a chiudere gli occhi ad intervalli più o meno regolari per provare a riposare un po’ mentre fuori la neve continua a cadere imperterrita.

Ore 18, l’aereo decolla tuffandosi nelle nuvole grigie. Guardo fuori dal finestrino e la visibilità è nulla: sono tra le nuvole, anche se la mia testa non lo è affatto.
Ho la testa tra le nuvole.
Cerco in ogni modo di non pensare all’ultima volta che ho detto questa frase perché non ha senso far riaffiorare certi ricordi ma è una battaglia senza speranze, subito mi torna in mente quando, come e a chi l’ho detto. Evidentemente continuo a conservare questo tipo di ricordi inutili e dannosi (ma, d’altronde, come potrei dimenticarli?).
Provo a scacciare via tutto ma ci riesco solo quando, all’improvviso, l’aereo esce dalle nuvole e davanti agli occhi trovo uno spettacolo affascinante: un tramonto, stupendo, sopra le nuvole. Guardo le centinaia di tonalità di colori del cielo, il rosso attorno al sole, il rosa, il viola, fino all’azzurro e il blu delle zone più distanti, guardo le nuvole dense che si colorano e le nuvole più sottili che lasciano passare raggi colorati. Rimango semplicemente in ammirazione, cercando di notare sempre più dettagli di questo paesaggio stupendo. Se solo l’avessi fotografato…
I minuti passano e dopo un po’ la testa si desta dall’ipnosi cominciando a fare uno dei suoi stupidi percorsi mentali che tanto spesso decide di intraprendere.
Da chi sto tornando?
Non c’è nessuno ad attendermi all’aeroporto né a casa, nessuno che sta aspettando il mio rientro, non ho nemmeno impegni per il weekend anche se non vedo l’ora di rivedere i miei Amici. E allora mi chiedo se il posto libero affianco a me non sia un segno: in un aereo pienissimo sono uno dei pochi, se non l’unico, senza un altro passeggero affianco, è come se questa situazione volesse ricordarmi che, in mezzo a tutte queste persone, io sono comunque da solo.
E il pensiero successivo è immediato: Ma io qui cosa ci sto a fare?
Mi attanaglia una tristezza immensa, una di quelle che si stringono nel petto e ti fanno male, appoggio la testa e guardo fuori ma questa volta non riesco a vedere niente di bello.
Sento delle parole che mi scuotono, è la hostess che mi chiede cosa vorrei da bere. Rispondo e penso a ciò che sta vedendo lei in questo momento, chissà se i miei sentimenti traspaiono dai miei occhi, chissà se vede la mia tristezza. Probabilmente, anzi sicuramente, sì quindi p
rovo a sorriderle mentre mi passa il bicchiere e dei biscotti, in fondo è così gentile con me, non merita di ricevere, e assimilare, tristezza dai miei occhi.

Ore 19,05, l’aereo atterra e mi dirigo verso i nastri trasportatori per ritirare il mio bagaglio. Poco prima di arrivare incrocio di nuovo i due colleghi tedeschi, scherziamo un attimo e gli indico la strada verso i treni, mi dispiace di non poter andare con loro ma devo aspettare il mio bagaglio da stiva.

Ore 19.28, il treno parte alla volta di Milano, fuori dal finestrino è tutto buio, ho la netta sensazione che dentro di me ci sia lo stesso paesaggio. Decido di chiudere gli occhi e di cercare di non pensare a nulla.

Ore 20,30, arrivo a casa.
Finalmente posso dire che la settimana lavorativa è finita, svuoto la valigia, metto subito a fare la lavatrice e mi preparo per la doccia.
Improvvisamente penso alle incombenze della domenica, al dover fare di nuovo la valigia, ai vari preparativi e al mio volo del lunedì mattina.
Cerco di scacciare via immediatamente i pensieri, ora c’è da pensare solo al weekend. E a me stesso, perché di tempo per me sembra non essercene mai in queste settimane.

Ma io qui cosa ci sto a fare?

22/2/2013

22/2/13 - Il mio angolo di aeroporto...

22/2/13 – Il mio angolo di aeroporto…

Fotografo il mio angolo di aeroporto mentre attendo il mio volo che ha accumulato due ore di ritardo. Non posso immaginare che, fra un’altra ora e mezza, verrà cancellato ed io dovrò rimanere qui a Monaco…

PS: un abbraccio ai miei Amici ed un saluto ai miei lettori.

9 pensieri su “Il rientro

  1. Forse, il non avere radici affettive forti, a casa, ti permette di vivere esperienze interessanti, come il lavoro in un paese straniero.
    Certamente, ti permette di vedere tramonti bellissimi, con la testa tra le nuvole…
    Belle cose a te, e nuovi incontri, magari mentre siedi al tavolo dell’aeroporto, tra arrivi e partenze 🙂

  2. “Ma io qui cosa ci sto a fare?” è una bella domanda, a cui tutti, prima o poi, dobbiamo dare una risposta. C’è chi la dà consapevolmente, sacrificandosi, faticando, impegnandosi nell’obiettivo di perseguire un suo disegno (che non necessariamente riuscirà a raggiungere, beninteso), e c’è chi lo fa inconsapevolmente, in qualche modo “subendo” il destino che lo attende, o detta in altre parole vivendo la vita per come viene ed adattandocisi, cercando di vivere al meglio possibile in essa. Come? Cogliendo ed apprezzando il valore delle piccole cose e dei bei momenti che la vita ti regala, che molto spesso finiscono per passare in secondo piano di fronte ai grandi “vuoti esistenziali” che si crea la tua mente.

    Pensare alla solitudine come alla mancanza di uno scopo nella vita, o all’assenza di un posto nel mondo non è necessariamente corretto, e lo sai bene. Non farti sopraffare dalla solitudine. La vita è breve, pensa a divertirti, a conoscere, a comunicare, a scoprire cose nuove, ad aiutare i turisti ed ammirare tramonti dall’alto di un aereo, contento del fatto che magari sarai pure solo nella tua fila di sedili, ma cavolo, almeno per una volta sei COMODO e LARGO. Queste sono le cose che contano davvero, cose reali, cose che vivi per davvero. Non sono “ricordi dannosi”, idee intangibili o sogni evanescenti e idealizzati di una vita diversa ma, bada bene, non necessariamente migliore. Sono le piccole cose che la tua vita di ADESSO ti regala, e sono cose buone, nuove, diverse e importanti. Pensa a quelle, e se ti piacciono prendi nota: chissà mai che magari ti venga in mente un progetto di vita che le preveda quotidianamente 😉

  3. tutta la mia solidarietà, conosco il blues da trasferta…una volta piansi da solo in hotel, a Trezzano sul Naviglio. Gesù, come odio quel posto 🙂

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